Dalla birra alle api, storie di contaminazioni digitali

Vendono online, si alleano sul web, scalano mercati in rete. Sono i wwworkers

C’è un legame sempre più stretto tra l’America e un secolare monastero benedettino del centro-Italia. E non è fatto solo di preghiere e opere di bene. Siamo a Norcia, meno di cinquemila anime in provincia di Perugia, nel cuore dell’appennino umbro-marchigiano. Dalle mura di questo monastero partono alla volta degli States migliaia di litri di ottima birra artigianale. Si tratta della birra Nursia, prodotta in tutte le fasi di lavorazione – dall’imbottigliamento alla cottura, fino alla vendita – dagli stesso monaci. Sveglia alle tre e mezza del mattino con la prima cottura al forno e poi al lavoro per tutto il giorno. «Per noi il lavoro appartiene alla nostra stessa cultura», precisa padre Benedetto Nivakoff, cresciuto nel Connecticut e da quindici anni in Italia.

Il birrificio è nato quattro anni fa e l’impianto è già stato allargato. Oggi la birra è venduta nel monastero e ovunque nel mondo. «Grazie all’e-commerce abbiamo capito che il mercato americano ha sete di birre artigianali. Sono appena arrivati ordini anche da sud-Africa, Finlandia e Brasile».

Il digitale è entrato anche nel lavoro di uno degli ultimi maestri cartai italiani. A Fabriano, in quelle colline marchigiane regno incontrastato per la lavorazione della carta, il 52enne Sandro Tiberi, entrato nelle cartiere trent’anni fa e poi messosi in proprio, utilizza nanotecnologie idrorepellenti. Le applica alla superficie della carta, che diventa resistente all’acqua o all’olio. «Stiamo anche sperimentando una carta che possa sostituire il cuoio nelle borse», precisa Tiberi. E il plurale nel suo racconto è d’obbligo: nella bottega lavorano sette giovani, assunti con una startup innovativa.

Dalle Marche al Trentino: cinque ingegneri hanno deciso di aiutare le api e pure il business del miele. Di fatto hanno brevettato un alveare hi-tech: ora è possibile monitorare lo stato di salute delle api. «In fondo abbiamo portato Internet alle api», racconta Andrea Rossini, 38enne che ha acceso la startup Melixa. Il loro sistema di monitoraggio misura il peso dell’arnia, il numero delle api che entrano ed escono dall’apiario, le temperature interne ed esterne, la quantità di pioggia caduta.

Ecco allora il digitale che consente di vendere, di migliorare prodotti e servizi, di ottimizzare processi rendendoli più efficienti. Tecnologie che ibridano le imprese tradizionali, innestando cambiamenti anche nelle piccole e medie realtà del tessuto produttivo.

«L’Italia non è andata verso il digitale, è il digitale che è andato verso l’Italia. Con una rivoluzione che ci è stata imposta, perché le imprese sono diventate digitali spesso a loro insaputa, contaminate loro malgrado», afferma Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia alla Sda Bocconi. Per il professore abbiamo perso dieci anni di massa critica, ma oggi Internet è nelle cose e permea l’industria, dalla logistica al packaging. «Ma attenzione: si tratta di un processo di ibridazione, non di digital trasformation».

Oggi una quota di digitalizzazione condiziona anche il capitale. «La tecnologia contribuisce a ridurre i costi perché ha un turn-over differente, facendo diminuire i livelli di investimento. Puoi acquistare tre macchine digitali per stampare piastrelle, quando prima te ne servivano cinque per lo stesso lavoro». Molte attività si stanno contaminando, ma con competenze che non necessitano più di una spinta verticalità. «Questo digitale non sta richiedendo tecnici qualificati: le interfacce sono semplificate, con una maggiore integrazione e una minore necessità di alfabetizzazione digitale».

Così questi wwworkers imbevuti di digitale vendono online, intessono alleanze sul web, scalano mercati in rete. Di più. Utilizzano le tecnologie per innovare imprese tradizionali, aiutando il made in Italy e innestando il digitale nei processi, nelle persone, nel fare impresa. Proprio questo esercito di lavoratori della rete si incontrerà giovedì 30 giugno alla Camera dei deputati per interrogare la politica, in un appuntamento promosso dalla community wwworkers.it con l’Intergruppo parlamentare all’innovazione, Facebook, Google, eBay, Ambasciata degli Stati Uniti in Italia e Rainews.

Si partirà dalle 10 azioni per l’economia digitale presentate tre anni fa, nell’insediamento della diciassettesima legislatura. Connettività, welfare, cultura: ecco le aree del manifesto che verranno riprese per capire cosa è stato fatto e quanto c’è ancora da fare. «L’Italia è indietro sul fronte della digitalizzazione , ma qualcosa si sta muovendo. Nella scuola il Governo sta investendo risorse, ci sono state alcune liberalizzazioni e semplificazioni, come l’accesso al wi-fi nei luoghi pubblici. E poi l’Iva sui prodotti di editoria digitale è stata adeguata a quella dei cartacei, mentre il Senato sta per licenziare due riforme per regolamentare lo smartworking», afferma Davide De Luca di Pagella Politica, piattaforma che si occuperà del fact-cheking di giovedì alla Camera. Di parere più critico Carnevale Maffè. «La connettività è un tema risolto, non abbiamo rilevanti problemi di copertura. Invece non è stato fatto alcunché per ritagliare uno spazio normativo sui nuovi lavori ibridi. Non ci sono state politiche attive, con un welfare inadeguato per far decollare l’economia digitale». Per Carnevale Maffè c’è una mancanza di comprensione del digitale come strumento a tutela del lavoro. «Invece di favorire il digitale fiscalmente, poiché è più tracciabile e trasparente, si è puntato sull’analogico. Ma la transizione al digitale è una conquista per il mondo del lavoro».

Fonte: nova.ilsole24ore.com